Elia Mauceri

E’ entrata una signora in galleria una di queste sere, e ha preso il tempo di guardare. Dopo un po si è girata verso di me e mi ha detto che la pittura non gli piace facilmente. Ma lui…
Abbiamo poco a poco attaccato bottone. Era una professoressa dell’accademia di Brera.
Lui si, è un pittore.
Non è difficile guardare la sua pittura. Racconta un attimo e racconta una vita. Racconta di alcuni giorni d’estate, di alcune mattine, nell’odore di una casa, di una cucina, di una camera. Parla di Dasha e di Sofia, dell’universo minuscolo composto da una madre, da un padre e da una bambina, eppure immensamente grande, infinito forse. Le sue tele ne sono come l’atlante.
In alcune Sofia ha lasciato dei segni, disegni infantili di ricordi, di sogni o di cose immaginate. Sono come dei geroglifici incisi sulle pareti. Allo stesso tempo enigma e rivelazioni, aumentano l’alone di magia misteriosa sempre presente nelle composizioni del padre.
Elia è probabilmente stato assorbito dal suo ruolo paterno, attento quasi unilateralmente allo sguardo di Sofia. Anche quando lei è assente dalla tela, anche quando lui ritrae Dasha nell’intimità del loro letto sembra che il suo occhio sia quello di un bambino, come se alla fine non potesse vedere che attraverso il prisma di sua figlia. Allora si spiegano le prospettive naÏf e la dimensione ludica dei suoi dettagli. Forse la sua opera, i suoi atlanti, sono quelli del mondo di Sofia.

Le opere