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Mehstre – I giorni e l’infante – Giugno/Luglio 2021

I Giorni e l’infante suona come il titolo di un racconto, tra fiaba e mito. Narrerebbe il pittoresco incontro tra i Giorni canuti e gravi detentori delle vite da vivere e delle vite vissute, e l’infante, quell’essere in origine ancora privo di parola. Sarebbe il mito dell’inevitabile metamorfosi dell’infante che giorno dopo giorno diventa adulto attraverso l’acquisizione della ragione e del linguaggio. Sarebbe, per citare una lettura che ha profondamente segnato Mehstre, il racconto del “mutare della sapiente incomprensione del bambino con la difesa e il disprezzo” (Rilke- Lettere a un giovane poeta). Come in ogni buon mito il protagonista verrebbe posto davanti a una crisi. La krisis, per i greci l’azione di distinguere, di scegliere, di dividere e di decidere, è quella che vede Ercole al bivio. Così, quando scopre che, per continuare con Rilke, quelle occupazioni adulte che da bambino si consideravano importanti e grandi, sono in realtà “miserabili, che le loro professioni sono irrigidite e non legate alla vita” si chiede “perché non continuare come bambini a osservarle come cosa estranea..”? La scelta è fatta e al bivio l’uomo decide di reagire contro i Giorni nel tentativo di riacquistare l’ingenuità, la purezza dell’infante, quella “sapiente incomprensione del bambino”.


La mostra I Giorni e l’infante del giovane pittore Leonardo Devito, alias Mehstre, (Firenze 1997) presenta una serie di lavori, grafici e pittorici, realizzati tra il 2018 e il 2021. Si tratta di un percorso di quattro anni in cui il pittore ha tentato di riavvicinare il proprio linguaggio all’ingenua semplicità di quello infantile.
Potremmo tentare di illustrare questo percorso mettendo a confronto due opere, Blau (2018) e Il Gigante nel bosco (2021).

Nel primo domina una componente “sentimentale”. Il silenzio introspettivo e malinconico, l’equilibrata composizione del formato quadrato, l’attenzione realistica portata alla resa dei volti, sono in Blau l’espressione di un sentimento per così dire osservato, trattenuto, composto. Nel secondo, più vivido, più narrativo, domina invece “l’ingenuo”. Il primo potrebbe illustrare la copertina degli Indifferenti di Moravia, il secondo, una pagina di un racconto per bambini.
Seguendo un ordine cronologico dei suoi lavori grafici e pittorici, possiamo vedere che Mehstre, nella sua programmata ricerca dell’ingenuo, inserisce elementi che ci riportano all’infanzia delle cose.


L’infanzia della pittura, l’immaginario medievale, il linguaggio delle origini

Gli scorci architettonici, la resa dei volti, alcune capigliature “all’antica” trattate con ocra e linee nere per esempio, ricordano i modi di quella che Vasari ha chiamato “l’infanzia della pittura”. Leonardo vede “nel modo in cui nell’arte medievale vengono espressi la prospettiva e le figure, qualcosa di semplice e naturale, qualcosa di candido”. L’universo della figurazione medievale, oltre ad essere nella sua formale ingenuità un perfetto veicolo all’espressione dello sguardo infantile, è per Leonardo una vera e propria “madeleine” che rievoca alcune emozioni della sua infanzia.

Mi raccontava delle visite al Museo Stibbert con sua madre, della “fortissima impressione che gli facevano tutte queste armature”. Dopo che mi fu rivelato questa cosa, ho cominciato a guardare le scene di battaglia che fanno spesso da retroscena alle sue opere con un occhio diverso. I cavalli di Paolo Uccello, che ritroviamo nelle incisioni di Arianna, oppure Cloridano e Medoro non sono soltanto elementi di linguaggio ma corrispondono ad un’esperienza estetica, emotiva ed immaginifera fondatrice. Il medioevo era parte del paesaggio fantastico dell’infanzia di Leonardo.
Torniamo all’incisione di Cloridano e Medoro. Il paesaggio di desolazione che circonda la scena tragica è composto da citazioni medieviste, ma non solo. Accanto allo scorcio uccelliano del cavallo morto, notiamo corpi squarciati interpretati con un disegno infantile che fa stranamente eco ad un’altra confessione che mi fece Leonardo mentre cercavo di comprendere la sua ricerca.


“Ciò che mi entusiasma della mia infanzia e che ricerco nei miei lavori penso sia la vividezza creativa con cui i bambini percepiscono le cose. Mio padre raccontava a me e mio fratello del bambino che aveva perso un braccio sporgendolo dal finestrino della macchina. Nella mia immaginazione questa storia aveva assunto un carattere estremamente drammatico ma che allo stesso tempo riuscivo a figurarmi in modo
vividissimo. Il bambino perdeva il braccio senza sangue o ferite e questo volava via e nessuno riusciva a ritrovarlo più sull’autostrada. Le sensazioni che permeavano queste immagini erano fortissime e allo stesso tempo mi rendevano famigliare, assimilabile un sentimento di paura… E forse proprio la sensazione di paura è quella che mi ha lasciato le immagini più forti e che mi interessa più spesso affrontare”.


Sullo stesso livello della rappresentazione vengono dunque, alla pari, inserite formule medievali e disegni infantili, come se corrispondessero allo stesso magma. Gli arcieri nel dipinto di Arianna, la scena di
ritorno sull’arazzo che fa da sfondo ai Collezionisti riconducono agli albi illustrati che gli leggevano i suoi genitori. In una certa misura potremmo dire che l’uso di questi linguaggi figurativi non sono soltanto un
modo di rappresentare le cose quanto la rappresentazione del modo in cui le immaginava o avrebbe potuto immaginarle quando era bambino.
Esiste nell’opera di Mehstre un terzo elemento che rimanda all’infanzia delle cose, quello mitologico.

Leonardo trova in effetti una forte affinità tra il linguaggio mitologico e quello infantile essendo l’uno l’espressione dell’infanzia del singolo individuo e l’altro quella di un popolo. Entrambi costituiscono un
linguaggio delle origini pregno di magia e simbolismi.


Il gioco

Il rapporto tra l’immaginario e il reale trova nel bambino la sua sintesi nel gioco. Leonardo mi diceva che “Il gioco fantastico del bambino diventa una partecipazione attiva e creativa al mondo, mischia in modo
omogeneo la realtà vissuta e l’immaginazione e, dopo tanti anni, ho ritrovato la stessa dimensione ludica di reinterpretazione del mondo attraverso la pittura”.


L’approccio ludico del fare pittorico implica una relazione spontanea alla figurazione in cui le funzioni espressive e simboliche proprie del gioco sono in effetti evidenti in numerose delle sue opere. Voglio dire che, esattamente come il bambino che attraverso il gioco trasforma la realtà secondo il proprio “Io” e simbolicamente ricostruisce momenti di vita quotidiana vissuta, Mehstre compone le sue tele facendo interagire diversi livelli figurativi, tra realismo e rappresentazione “primitiva” o infantile, realtà e
interpretazioni fantastiche del reale. Sul modello di Cloridano e Medoro, analizzato in precedenza, il ciclo di pitture presentate è quasi sempre composto di un livello realista destinato alle figure per l‘appunto reali
della sua quotidianità, l’amica Beba, l’amico Max o l’ex-fidanzata Arianna, e di un livello “primitivo” o infantile che costituisce la parte fantasticata, simbolica, aumentata, se vogliamo, della realtà. Dietro Arianna, nel dipinto, è rappresentata una scena di amore galante in cui il cavaliere, sotto una simbolica luna nera, esegue la sua serenata mentre un gruppo di arcieri è pronto a colpirlo con una pioggia di saette.
A meno che ironicamente il pittore abbia anche voluto, ponendo Arianna tra le due scene, destinare un po’ di quelle frecce a colei che lo stava facendo soffrire sentimentalmente. Sempre per gioco, allorché l’amico Max finisce la scuola e rimane senza lavoro, Leonardo drammatizza la situazione di stasi del compagno immaginando per lui un funerale. Le prefiche, chimere simpatiche e colorate tratte un po’ dall’immaginario medievale un po ‘ da quello infantile, fondono la scena in un’atmosfera tragicomica e gentilmente beffeggiatrice.
La B.east Gallery è particolarmente felice di presentare la prima personale di Leonardo Devito.


I Giorni e l’infante è una mostra manifesto che determina le direzioni estetiche e poetiche scelte dall’artista. Guardate la serie di incisioni, di acqueforti e dipinti con attenzione, percorreteli con uno sguardo curioso; sono il racconto muto dell’éclosion di una voce, di un linguaggio che racchiude nella sua apparente semplicità i meandri della propria nascita, delle proprie origini.